Pubblicato su politicadomani Num 86 - Dicembre 2008

Da Obama alla Calabria
We shall overcome, one day

A Cittanova un gruppetto di giovani riuniti in cooperativa produce olio di alta qualità. Hanno voluto restare a combattere la buona battaglia nella loro terra, anziché emigrare come fanno tanti giovani calabresi che partono alla ricerca di territori meno ostili e meno controllati dalla violenza mafiosa

di Marco Vitale (economista d’impresa)

Mi sono recato a Cittanova per partecipare ad una giornata di studi su “Etica e legalità nella filiera olivicolo olearia” calabrese. L’incontro è stato promosso da una cooperativa di giovani di Polistena (R.C.) denominata Valle del Marro, Libera Terra, con sede casualmente ma significativamente in via Pio La Torre; che produce olio di alta qualità e prodotti tradizionali tipici da agricoltura biologica. La caratteristica di questa cooperativa (che è collegata alla rete di cooperative del movimento Libera guidato da Don Ciotti) sta tutta nelle parole che la cooperativa pone in testa ai suoi prodotti: “Dalle terre liberate dalle mafie”. La cooperativa è assegnataria della coltivazione di terre confiscate alle mafie, circa 90 ettari, per lo più di antichi oliveti. A creare la cooperativa sono stati un gruppetto di giovani che hanno voluto restare a combattere la buona battaglia nella loro terra, anziché emigrare come avrebbero potuto e come fanno tanti giovani calabresi che partono alla ricerca della possibilità di impostare la loro famiglia e la loro vita in territori meno ostili e meno controllati dalla violenza mafiosa. È l’unica cooperativa di questo tipo in Calabria, mentre in Sicilia ce ne sono già parecchie.
La parola battaglia non suoni esagerata. Perché se in Emilia, Lombardia, Veneto e Massachusetts, per fondare una operativa agricola ci vuole un po’ di competenza e un po’ di capitale, in Calabria ed, in particolare, nella piana di Gioia Tauro, ci vuole anche un grande coraggio, una grande tenacia, una capacità di resistere ad intimidazioni e violenze che vengono dalle mafie esplicite ed all’isolamento che viene dalla mafia implicita (associazioni imprenditoriali, amministratori pubblici, professionisti). I giovani cooperatori della Valle del Marro - Libera Terra - sono passati attraverso tutto questo. Si sono fatti carico di coltivare terre che la mafia, prima dell’incombente sequestro, aveva devastato cercando di renderle non più coltivabili; hanno dovuto impiantare nuovi oliveti; hanno visti anche questi devastati; hanno visto il loro trattore e altre macchine agricole rovinati; hanno sperimentato l’isolamento da parte di chi dovrebbe, invece, fare di questi esempi una bandiera, come la Confindustria calabrese dalla quale la Confindustria nazionale dovrebbe esplicitamente prendere le distanze. Hanno passato tutto questo e sono sopravvissuti e producono un olio eccellente tenendo alta la bandiera della Calabria per bene, di un’economia pulita, di un’economia che crede all’etica e alla legalità, di un’economia fatta da uomini di buona volontà.
Naturalmente nella loro resistenza non sono stati lasciati totalmente soli. Se così fosse la Calabria della mala gente li avrebbe già sbranati. Li ha aiutati l’essere inseriti nella rete di Libera, li ha aiutati un sacerdote di valore che non ha più lacrime da versare sulla sua terra sofferente, li hanno aiutati pochissimi singoli imprenditori isolati, qualche amico nel Nord. Poca cosa ma sufficiente per tenere viva la speranza. Io ho detto loro che dovevamo considerare come emblematico l’affascinante nome della cittadina che ci ospitava (che pochi anni fa entrò nelle cronache, come terra di morte): Cittanova. Perché costruire una città nuova e un’economia nuova è oggi l’impegno di tutte le persone per bene, dalla Calabria ai quartieri popolari e durissimi dai quali è partita la speranza di Obama. L’attuale crisi economica internazionale, pur durissima, ha molte valenze positive. Rilancia “Main Street” nei confronti di “Wall Street” come ha detto Obama. E fare buon olio sui terreni sequestrati alla mafia è Main Street. Rilancia il piccolo sul gigantismo, l’essere sull’apparire, il locale sull’omogeneizzazione, il saper fare sul saper manipolare. Perciò questa crisi accende anche una grande speranza. Il 66% dei giovani americani hanno votato per Obama e chi lo aiuta a scrivere i suoi discorsi è un giovane di 27 anni. E, pochi giorni fa, all’inaugurazione della grande manifestazione “Terra Madre” di Torino che richiama migliaia di contadini da tutto il mondo un ragazzino di 15 anni, Sam Levin, del Massachusetts ha concluso il suo intervento dicendo: “saranno i giovani a riconciliare l’uomo alla terra”. La campagna elettorale di Obama non è stata giocata sui temi bianco/nero, sui temi etnici. Obama è stato giustamente definito un presidente postetnico. La questione etnica è dietro le spalle (ed a illustrare ciò un giornalista americano racconta questo magnifico episodio. Vedendo in fila tra gli elettori una persona di etnia non chiara, il giornalista chiede allo stesso: da dove vieni? E questi gli risponde: dal ventre di mia madre). La battaglia di Obama è stata combattuta sul ricambio generazionale, sul cambiamento rispetto alle cricche di potere che avevano messo sotto i tacchi l’America, sulla necessità di riequilibrare l’economia del fare (Main Street) rispetto all’economia dei castelli finanziari (Wall Street).
Su questi temi Obama ha parlato per tutti, perché sono temi comuni a tutti. Esiste un indubbio legame tra questo grande evento ed i giovani della cooperativa Valle del Marro, impegnati a resistere contro l’umiliazione della violenza e della orrenda classe politica e burocratica della Regione Calabrese. In tutti i due casi si tratta di una lotta di liberazione, per costruire una Città Nuova, più umana e più civile ed un’economia meno sopraffattrice. Ed ho parlato loro di Don Sturzo, grande meridionale, che a ventisette anni si agitava a destra e a manca, con la sua sottana da prete, per costruire cooperative come la loro e che sino all’ultimo ha insegnato a puntare sulle proprie capacità e sul proprio lavoro, a tessere reti di solidarietà, a non farsi corrompere dal denaro pubblico e soprattutto a non lasciare mai spegnere la speranza, valore sommo per gli uomini liberi e forti e soprattutto grande valore cristiano.
Perciò, ho concluso, questi sono anche tempi di grande speranza. Il mondo che emergerà dalla crisi sarà come riusciremo a plasmarlo. Tutti i giochi si sono riaperti. Tutte le possibilità sono sul tavolo. Perciò possiamo darci nuovamente la mano, tra Chicago e Cittanova e cantare ancora insieme: “We shall overcome, one day”. Anche in Calabria.

[Scritto pubblicato su Club 3]

 

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